Di recente si sono accese diverse polemiche riguardanti il settore videoludico e in particolar modo il futuro dell’industria. Non ci sono dubbi che viviamo un’epoca in cui i giochi per esser definiti tali non possono essere monoschematici, ma eclettici, nel senso che un gioco deve fornire svariate modalità per essere ritenuto completo. Senza guardare troppo lontano, il recente Sekiro Shadows Die Twice (di cui è disponibile la nostra recensione qui) è stato aspramente criticato per la mancanza del multiplayer, relegando, quindi, il videogiocatore ad una singola modalità. Ed è qui che sorge spontanea la domanda: è davvero giunta l’ora del Single Player? Realmente non soddisfa più l’utenza a tal punto da esser ritenuto superato? Narrativa e longevità sono aspetti secondari?

LA CRITICA DI AMY HENNING

Lo spunto nasce dalle parole di Amy Henning, per i profani autrice soprattutto della storica trilogia di Uncharted e Legacy of Kain: secondo la nota autrice, pubblicare titoli come Uncharted Drake’s Fortune ai giorni nostri sarebbe impossibile, questo perché l’utenza non sarebbe soddisfatta di un’avventura di circa otto ore, ad oggi tipica di giochi indie, e il cui aumento della longevità è legato soprattutto a difficoltà più elevate e ottenimento di collezionabili. Parole condivisibili, non c’è dubbio, sopratutto se ci caliamo nei panni di uno sviluppatore che in un certo modo si ritrova tra incudine e martello, dove questi sono il budget investito e il ritorno di capitale dalle vendite. E a tal proposito rincaro la dose e ripropongo la lettura di Blood, Sweets and Pixels di Jason Shreiner, qualora qualcuno voglia parlare di un argomento tanto delicato senza conoscere un minimo quello che succede nell’industria e cosa si cela dietro un’opera videoludica.

Narrativa 3Ritornando al discorso e al Single Player, pongo alla vostra attenzione qualcosa di importante: non sono una persona che da una certa importanza ai premi, pur essendo un amante delle cerimonie, ma vorrei farvi riflettere circa i vincitori dei Game of the Year. Tolto il 2016, anno che ha visto il trionfo di Overwatch (anche un po’ a sorpresa) dobbiamo andare al lontano 2004 con World of Warcraft per trovare un gioco multiplayer. Il 2017 è stato l’apoteosi del Single Player, tra Horizon e soprattutto Breath of the Wild e NieR: Auromata, il 2018 ha visto capolavori come God of War, Detroit: Become Human, Celeste. Non cito Read Dead Redemption 2, perché ne parleremo più avanti. Tornando a questo 2019, ad oggi, 31 marzo 2019, in soli tre mesi abbiamo avuto bombe come Resident Evil 2, Kingdom Hearts 3, Devil May Cry 5 e Sekiro Shadows Die Twice.

Narrativa 4Vedendo titoli del genere è difficile pensare che il Single Player sia morto. Vero, probabilmente DMC presenta una macchia di coop, ma infinitesimale. Ritornando al discorso longevità, analizzando questi titoli possiamo dire che tutti, alla prima run, superano le dieci ore e restano comunque sotto le quaranta, cosa che li rende giochi a media longevità. Ma un qualsiasi titolo in blind run presenta longevità simili, anche un Hollow Knight o un Salt and Sanctuary, giusto per citare due indie a caso, possono tranquillamente infrangere il muro delle dieci ore, cosa che era possibile anche con il primo Uncharted. Il tutto dipende dagli approcci che si hanno con un titolo. È lapalissiano che qualora si corra verso la meta, ovvero il finale di gioco, non curandosi di storia, dettagli, etc, tutti i giochi sopracitati presentano una longevità alquanto ridicola.

LE DIVERSE SPECIE DI VIDEOGIOCATORI

Narrativa 2Ed è proprio qui che si snocciola il secondo punto rilevante del discorso: chi sono i videogiocatori? Esistono diversi tipi di videogiocatori? I casual gamer possono essere ritenuti tali? Console a buon mercato, digitale, sconti, condivisioni di account, hanno portato alla sempre più ampia espansione dell’industria videoludica e anche per questo il videogiocatore non può essere ritenuto come soggetto univoco, ma all’interno della stessa definizione ne ritroviamo diverse sfaccettature. Punti chiave: da anni qual è il gioco più venduto per console? Risposta: FIFA. Il giocatore di questo titolo può essere ritenuto videogiocatore? Si. Il fatto che più della metà di questo condiziona il mercato porta inevitabilmente a far sparire determinate categorie di videogiochi? No, assolutamente. Come nel cinema, anche l’industria videoludica vive un periodo in cui abbiamo una fetta importante di pubblico che è interessata all’intrattenimento e l’altra che invece esige l’arte. Sempre per azzardare paragoni assurdi, un Avengers piazza un miliardo di dollari al box office, mentre magari un Premio Oscar al Miglior Film 2019 come Green Book va sotto i trecento milioni. Questo perché non sempre la qualità corrisponde alla richiesta reale del pubblico e soprattutto perché si toccano target diversi.

LA NARRAZIONE, QUANDO LE PAROLE SONO IMPORTANTI

Sempre la cara Amy Henning ha rincarato la dose in un’intervista a IGN.com, fresca vincitrice del premio alla carriera ai Game Developers Choice Awards 2019, dicendo che ad oggi la narrazione è relegata a un ruolo di secondo piano, lasciando più spazio al gameplay e ad esperienze dispersive e che il videogiocatore non è più troppo interessato all’arco narrativo, quindi esperienze interattive lineari hanno sempre meno successo. In questa seconda parte non posso che trovarmi d’accordo con l’autrice ed è qui che riprendo il discorso con Red Dead Redemption 2 per spiegarvi questo pensiero.

Narrativa 1

Il titolo di Rockstar è senza dubbio un capolavoro assoluto, un open world di altissima fattura per numero di cose e situazioni nelle quali ci si può ritrovare. Un vero specchio del Far West, ma, e ricordatevi che tutto quello che si dice prima di un ma sono stronzate, Red Dead Redemption 2 mi ha fatto capire che stavo perdendo tempo. Ero lì che giocavo, ma anziché proseguire nella storia mi ritrovavo a fare cose inutili, come un lobotomizzato, per 5-6 ore di gioco, per poi spegnere la console e sentirmi un essere vuoto, privo di umanità. E dire che la mattina non vedevo l’ora di ritornare a casa per giocarci. Per fortuna il maestro Miyazaki con Déraciné, che stiamo portando sul nostro canale twitch, ci ha dato l’ennesima lezione di vita orientale, ovvero che il tempo è importante e non va sprecato, soprattutto in un open world sterile dal punto di vista di contenuti umani che trasmette. Molto meglio una narrazione breve, compatta, diretta, ma che ti segna l’anima.

CHIOSA FINALE

Carissima Amy Henning, le scrive un vecchio videogiocatore, non anagraficamente, ma per anzianità di servizio. Ho vissuto troppe epoche videoludiche e troppe console per credere che la narrativa e il single player stiano morendo. Potrò essere considerato un pazzo o un alienato, ma difenderò sempre queste opere videoludiche, perché in fondo noi siamo sempre quelli fuori dal coro. Quelli che avevano il Nokia 6600 nelle orecchie con Bohémien Rhapsody e una vecchia maglia sporca dei Queen fuori dal bar mentre tutti erano in discoteca. Quelli con il gira dischi e il vinile mentre tutti sono su Spotify. Quelli che ancora si emozionano a scartare lentamente una Collector’s Edition, mentre tutti sono a condividere account. Quelli che, semplicemente, videogiocano per passione.

 

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Christian Giordano è un geek proveniente dal tacco d'Italia, che vive per passioni e per passione e studierà per sempre Medicina. Nato con il NES come cuscino, tra le bucoliche foreste di Zelda e gli interrogativi brick di Mario, è stato forgiato con due braccia e due pad per poter giocare, testare, vivere qualsiasi genere di avventura il mondo videoludico gli palesi sul vetro della sua console, portatile o non, dalla Nintendo alla Sony, fino a Microsoft e non solo, con tutte le sfumature che il mercato propone. Cresciuto con il mito de Il Piccolo Grande Mago dei Videogames, è un giocatore eclettico e un collezionista che sa scovare in ogni angolo del globo anche il game meno idolatrato per gustarne e vagliarne le qualità di persona. Piacevoli distrazioni al suo lavoro sono il Calcio, la Musica, il Cinema e i Motori, nonchè la sua musa ispiratrice con la sua somma pazienza.